Chi ruppe la diga della Golfolina e come nacque Firenze ed il suo contado
Nell'età quaternaria la piana di Firenze-Prato-Pistoia era occupata da un grande lago che stagnava tra le linee dei rilevi del Monte Albano e Signa a ovest, del Monte Giovi a nord e delle prime colline del Chianti a sud. Con il ritirarsi delle acque la pianura, situata a una cinquantina di metri sul livello del mare, rimase costellata di tanti stagni ed acquitrini che, soprattutto nella zona di Campi Bisenzio, Signa e Bagno a Ripoli, furono una costante del territorio almeno fino alle bonifiche realizzate a partire dal Settecento. Una sezione del Museo di Geologia e Paleontologia illustra egregiamente questo periodo della preistoria toscana, con schede e reperti.
Si ritiene che alla confluenza del Mugnone con l'Arno vi fosse un insediamento villanoviano già tra il X e l'VIII secolo a.C. Tra il VII e il VI secolo a.C. gli etruschi dovevano aver scoperto e usato il facile guado del fiume Arno presso la suddetta confluenza, dove anche la pianura era più stretta per la vicinanza dei colli da nord e da sud. In quel punto avevano costruito probabilmente una passerella o un servizio di traghetto, che doveva trovarsi una decina di metri dall'attuale Ponte Vecchio, nel guado più stretto. Gli etruschi comunque preferivano non fondare città in pianura per ragioni di difesa (da eserciti stranieri e dalle inondazioni) e si stabilirono a circa sei chilometri dal guado su una collina, dove nacque il centro fortificato di Vipsul, l'odierna Fiesole, ben collegato con una strada che univa tutti i principali centri etruschi dall'Emilia al Lazio.
Si ha notizia di vari rinvenimenti etruschi ad Artimino fin dal XVIII secolo. A partire dagli anni '60 sono state rinvenute nel territorio varie testimonianze archeologiche che attestano come ad Artimino fosse presente un insediamento urbano etrusco, piuttosto importante; questo almeno secondo le risultanza della campagna di scavi condotta nelle immediate vicinanze del paese; l'abitato, dotato anche di una zona sacra, messa in luce nei pressi della "Paggeria" medicea, era probabilmente organizzato intorno ad una specie di decumano corrispondente al crinale che collega il borgo murato con la villa medicea. Da notare come il colle su cui sorse la villa fosse conosciuto come "Artimino vecchio", suggerendo la presenza di antiche vestigia.
Inoltre sono state rinvenute necropoli in diverse aree più o meno prossime tra cui la Necropoli di Prato Roselle con tombe piuttosto ben conservate, nelle quali sono stati ritrovati importanti reperti custoditi nel Museo Archeologico di Artimino. Comunque il centro urbano doveva essere il punto di riferimento di una più vasta area, visti anche i ritrovamenti di Comeana (Tombe di Boschetti e Tumulo di Montefortini), Montereggi (presso Limite sull'Arno) e Pietramarina (santuario extraurbano e mura di fortificazione sulla vetta del Montalbano).
La presenza di una città etrusca ad Artimino (periodo presumibile X secolo a.c.) rende evidente l'importanza di quest'area per i rapporti Nord-Sud, tra Tuscia vera e propria e gli insediamenti sub-appennini ed oltre, fino a Marzabotto, tramite l'area di Pistoia, ed il valico di Porretta. La scoperta della città etrusca di Gonfienti presso Prato, dovrà fare ripensare globalmente al sistema territoriale della presenza etrusca a nord dell'Arno che sembra assumere un'importanza non solamente locale e localizzarsi sui tutti i margini della piana Firenze-Prato-Pistoia (Sesto Fiorentino, Gonfienti, Fiesole, Artimino, Comeana).
Tutto ciò non esclude, quindi, che la zona ove ora esiste il Castello di Signa, inizialmente fosse Etrusco.
La pietra Gonfolina
Molte sono le leggende sul Masso della Golfolina, anche detto Masso delle Fate, ritenuto, a torto, una semplice pietra. E’ invece un “Monumento naturale” fra i più antichi della terra.
Una delle varie leggende la lega a: ”E se Noè fosse approdato in Toscana?” (Periodo dell’Arca di Noè 2100 a.c. circa)
Da uno studio effettuato dalla D.ssa Elena GIANNARELLI
Gli studi ebraici a Firenze sono stati oggetto di un convegno presso la Facoltà di Lettere della locale Università il 12 settembre scorso. Insigni studiosi hanno tratteggiato figure importanti in questo campo specifico e messo a fuoco problemi e tematiche dibattuti dal ’400 ad oggi per quanto riguarda la storia, la cultura, la lingua di quelli che Giovanni Paolo II chiama «i nostri fratelli maggiori». Tra i tanti stimoli regalati agli intervenuti a quella giornata è riaffiorato un vecchio mito, noto da tempo agli storici ed agli addetti ai lavori, degno di essere narrato al grande pubblico. Cari toscani di origine etrusca e cari fiorentini, possiamo aggiungere ai nostri motivi di vanto quello di essere diretti discendenti di Noè. Ecco come stanno le cose.
Nel 1497 Giovanni Nanni, ossia Annio da Viterbo, scrisse un’opera intitolata Antiquitatum variarum libri (Libri di varie antichità). L’autore sosteneva di aver trovato testi di Beroso il Caldeo, nei quali si affermava come Noè, dopo il diluvio, si fosse fermato in Etruria e vi avesse fondato un regno. Uno dei discendenti, Ercole, aveva avuto un Figlio, Thuscus, che avrebbe dato il nome alla regione: la Toscana quindi sarebbe di origine aramea.
Come ha sottolineato il prof. Paolo Marrassini nella sua relazione, si trattava di un modo per rivendicare il primato della civiltà all’oriente contro la Grecia e Roma. Si dibatteva infatti nella cultura della fine del ’400 il problema di quali fossero le lingue più antiche e le più antiche espressioni culturali. Naturalmente il mondo classico, di origine greca ed ereditato da Roma, faceva la parte del leone. Firenze, considerata figlia dell’Urbe e fondata dai Romani, era chiamata la nuova Atene e questo imponeva, sul piano politico, la necessità di sintonizzarsi con quanto veniva deciso sulle sponde del Tevere. In contrapposizione a tutto questo, con un rimando forse a quanto già teorizzato nella apologetica cristiana antica del II secolo, si esaltavano le culture semitiche e coloro che i Greci, con evidente disprezzo, chiamavano «barbari». L’ebraico stesso, legato ad una precisa tradizione culturale, venne poi soppiantato, in questa ricostruzione, dall’aramaico, definito come l’idioma più antico in assoluto. Era un modo ancora più deciso per staccarsi da Roma, riconquistare origini orientali e rivendicare la propria indipendenza e libertà.
Storia strana questa, che ci viene chiarita da uno storico della filosofia e della cultura, Alessandro D’Alessandro, che ha studiato Giambattista Gelli, autore nel 1544 di un opuscolo sull’origine di Firenze, e il canonico laurenziano Pier Francesco Giambullari, il cui Gello, un dialogo di cui è protagonista il medesimo Gelli, era stato dedicato nel 1546 proprio a queste tematiche.
Il fiorentino ha origine dall’etrusco, lingua che male si può intendere senza avere nozione di ebraico e caldeo. Quest’ultima sarebbe stata la lingua primitiva, parlata da Abramo e forse da Adamo: un dialetto aramaico, che potrebbe essere l’aramaico biblico o il siriaco. Noè in Toscana è il filo diretto che rende possibile tutto questo.
Il mito comparve per la prima volta nel clima di festa delle nozze di Cosimo I con Eleonora di Toledo (1539), quando Gelli ideò e Giambullari descrisse i solenni trattenimenti.
Una gran processione, carica di simboli, si snodò per le strade della Città del Fiore: le cittadine toscane, personificate, giurarono fedeltà a Cosimo e alla sua politica. Con orgoglio esse vantarono la loro antichissima origine: Fiesole, edificata dal figlio di Noè; Volterra, fondata dal patriarca identificato con Jano o Giano bifronte dei Latini; Arezzo, nel cui nome si riproduce quello di Aredia o Arezia, moglie di Noè, posta dove l’Arno «disdegnoso torce il muso», dirigendosi verso Firenze. E così via, in una serie di versi in cui il Giambullari fa sfoggio della sua creatività descrivendo la dodecapoli etrusca. Tanto per dare un’idea ecco il modo in cui viene presentata Cortona: «Verso il ciel s’alza un vago colle ameno/ sopra il qual d’alte mura intorno cinse/ costei ch’or lieta il core e sè ti dona/ Crotone Egittio e la chiamò Cortona». Cortona deriva dall’Egizio Crotone. Già, perché l’Arca di Noè era arrivata dal monte Aram direttamente sul Tevere, in Tuscia. Il buon patriarca vi aveva fondato il suo regno; alla sua morte cattivi principi si erano succeduti finché arrivarono dall’Egitto i vendicatori: Crotone e soprattutto Ercole Egizio o Libio. Fu proprio costui, uomo saggio e diverso dall’eroe omonimo delle dodici fatiche, a fondare Firenze. Da Fiesole contemplò la palude sottostante e decise di bonificarla a modo suo.
Tagliò con poco sforzo il Masso della Golfolina, sulla quale millenni dopo si affaticherà invano Leonardo da Vinci, e fu pronto il luogo della futura capitale. Diede anche il nome al fiume Arno, che in aramaico significa «leone vittorioso» e il simbolo della città, il Marzocco altro non è se non la fiera erculea. Così le città toscane in quel lontano 1539 riconoscevano a Cosimo, discendente di quegli antichi, il diritto a unificarle sotto il suo potere, qualunque cosa se ne pensasse a Roma. Fu un’operazione non solo politica, ma culturale: il vero sapere era quello dell’oriente, dei semiti, della Bibbia, fondato sulla parola divina e non sull’empirismo e sul sentito dire di Greci e Latini. Tutto questo fu portato da Noè in Toscana ed anche altro. Non a caso fu lui ad insegnare agli uomini la coltivazione della vite. Sull’arca giunta fino a noi ce ne doveva essere un tralcio fra i migliori
Un’altra leggenda la lega ad Ercole (Periodo tra il XII e l’VIII secolo a.c.)
Si dice che Ercole di ritorno dalla Spagna, dopo il compimento della decima fatica, si stabilì per qualche tempo in Toscana, diventando re degli Etruschi. Per venire incontro alle esigenze degli abitanti della zona, l’eroe distrusse la diga naturale che impediva il deflusso delle acque dell’Arno dalla Piana di Firenze, creando la gola della Gonfolina.
Un’ulteriore leggenda la lega ad Annibale (periodo II secolo a.c.)
Anche secondo gli antichi storici fiorentini - Giovanni Villani, Scipione Ammirato e il Borghini - il masso detto “della Gonfolina”, ostruiva il corso dell’Arno contribuendo all’impaludamento di tutta l’area; furono gli antichi romani a rimuoverlo, permettendo una prima e parziale bonifica degli agri della Piana e la successiva colonizzazione del territorio.
Il Repetti nel suo Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, è invece dell’opinione che il masso della Gonfolina sia stato eroso dall’azione incessante delle acque e che non ci sia stato un intervento umano. Oltre alle storie di Ercole e dei romani ci sono molti miti e leggende popolari legati a questo luogo: si dice che gli scalpellini che si siano azzardati a picchettare il grande masso abbiano rotto i loro attrezzi contro la roccia, più dura di qualsiasi lega di metallo.
Anche i tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale, non riuscirono a far saltare il masso con le cariche. Alcuni raccontano inoltre che il luogo sia abitato da fate simili a folletti – da qui il nome di Masso delle Fate - e forse dalla chioccia d’oro sotterrata da Castruccio Castracani. Il passaggio della strada in direzione di Empoli, proprio sotto il grande macigno, è una realizzazione abbastanza recente. La strada regia pisana, tracciata sulla riva sinistra dell’Arno, fu resa carreggiabile sotto il Granducato di Leopoldo II, dopo la metà del XVIII Secolo. Nei tempi antichi la via provinciale conosciuta sotto il nome di strada militare pisana, passava attraverso il Castello di Malmantile.
Dal Dizionario del Repetti
GONFOLINA, o GOLFOLINA (Petra Gulfolina) nel Val d’Arno sotto Firenze fra il Porto di Mezzo sotto Signa e Sanminiatello sopra Montelupo. – Questo nome è rimasto alla chiusa, ossia stretto in cui termina il Val d’Arno fiorentino, e dove per un tortuoso passaggio fra le rupi di duro macigno che fiancheggiano a destra i poggi del Barco di Artimino, e a sinistra quelli di Malmantile, il fiume si è aperta la via per entrare nel Val d’Arno inferiore. Quindi gli antichi scrittori appellarono questo luogo lo Stretto della Pietra Golfolina, frase che in tre parole dà a conoscere la qualità del sito, l’indole del terreno, e il gonfo, o golfo che costà dovè formarsi in tempi remoti: intendo dire, innanzi che la natura più che l’arte scalzasse quelle rupi che facevano ostacolo al suo passaggio, e all’impeto delle acque.
Il poggio su cui risiede il castello e palazzo omonimo presentasi sotto forma di un bastione all’ingresso superiore dello stretto meno angusto della Golfolina, donde probabilmente potè derivare il nome di Artimino, quasi Arctus minor.
Comecchè sia è ben credibile che la rosura lungo il seno della Golfolina sia opera tutta o quasi tutta della natura, piuttosto che tagliata dall’arte, siccome fu creduto da molti istorici, a partire dal buon Villani. Fu forse questi il primo a opinare che il taglio della Golfolina fosse stato comandato dalla necessità di far sgorgare dal bacino intorno a Firenze le acque stagnanti; quindi una tal mano d’opera dell’incisione della Pietra Golfolina è stata ricordata nelle istorie fiorentine da Piero Boninsegni, da Bartolommeo della Scala, dall’Ammirato e dal Borghini.
Per egual modo molti seguitarono a supporre con lo stesso Villani, che Castruccio fosse cotanto credulo da lasciarsi infinocchiare dai maestri periti ingegneri, che non si poteva con una grossa muraglia alzare il corso del fiume Arno allo stretto della Pietra Golfolina per fare allargare Firenze, stantechè il calo di Arno da Fiorenza in fin laggiù era 150 braccia, e perciò lasciò di fare taleimpresa. – (G. VILLANI, Cronic. Lib. IX. Cap.335). La più antica rimembranza di cotesta chiusa, sotto nome di Pietra Gulfolina la trovo in un’istrumento del 9 maggio 1124, col quale Ubaldino figlio di Adimaro fece una permuta di beni con Giovanni arciprete e preposto della cattedrale di S. Giovanni e S. Reparata di Firenze; per effetto della quale Ubaldino cedè al Capitolo alcune vigne, terre ecc. Possedute da Bernardo arcidiacono figlio di altro Bernardo, e ricevè in cambio due moggia di terreno boschivo, posto sul Rio Maggiore, che sboccava ad Petram Gulfolinam. (LAMI, Mon. Eccl. Flor. T.II. pag.1441).
Infatti tutta quella foce era coperta di macchia bassa, di lecci e di pinete che formavano, a destra le pinete de’ Frescobaldi, poi il Regio Parco di Artimino, mentre a sinistra, di dove scorre il rio di Colle maggiore, si conserva il nome delle Selve al soppresso monastero de’Frati Carmelitani della Congregazione di Mantova, alla vicina chiesa parrocchiale, alla Villa Salviati, che accolse fra tanti distinti personaggi Galileo Galilei, alla magnifica villa di Bellosguardo del marchese Pucci, già de’Medici, a quella di Luciano degli Antinori, posta fra le Selve, il Malmantile e la Golfolina, ecc.
Nella parte più angusta dello stretto di Golfolina esistono da gran tempo molte cave di pietra serena, consimile per grana, per colore e per uso a quella fiesolana, per cui viene adoperata per usi architettonici, e mediante l’Arno, per l’Ombrone pistoiese suo confluente all’ingresso della Golfolina, viene spedita per acqua a Firenze, a Pisa, Livorno, Pistoia e in varie altre città della Toscana.
Il dotto Giovanni Targioni – Tozzetti nell’esaminare la struttura delle rocce che costituiscono l’esterna ossatura dei monti di Artimino e della Gonfolina, e le cave di pietra serena ivi aperte da una remota età, osservò che la direzione delli strati è con la testata volta a grecale e la base a libeccio; che essi variano notabilmente fra di loro in altezza, in consistenza e in grossezza di grana, donde ne derivano essenzialmente macigni di qualità diversa. In generale però la pietra arenaria della Gonfolina è di grana meno fine e meno uniforme di quella di Fiesole, racchiudendo bene spesso dei frammenti eterogenei, tanto del genere di altre pietre, quanto di fossili vegetabili, fra i
quali il precitato naturalista riscontrò delle materie carbonizzate sotto l’aspetto di carbon fossile. (TARGIONI Viaggi ec. T. I.)
Con la pietra di macigno alternano minori strati di schisto marnoso, ossia bisciajo. – Nella parte esterna del monte la pietra serena molte volte è rimpiazzata da strati di un conglomerato siliceo composto di piccole ghiaie di varia qualità e colori, la qual roccia avendo una figura consimile al legume chiamato cicerchia, dagli antichi litologi toscani fu appellata pietra cicerchina, corrispondente ad una pudinga, o grossolano conglomerato di arenaria.
Al principio dello stretto della Gonfolina ho detto che sbocca in Arno il fiume Ombrone pistoiese, il quale dopo passato il Poggio a Caiano entra in un’angusta fora lambendo a destra i poggi di Artimino e di Comeana, mentre a sinistra rasenta le colline di Signa
La strada Regia pisana tracciata sulla sinistra ripa lungo il tortuoso alveo dell’Arno nella traversa della Gonfolina, fu resa carreggiabile, sotto il granducato di Francesco II, dopo la metà del secolo XVIII; giacchè nei tempi anteriori la via principale, conosciuta allora sotto il vocabolo di strada militare pisana, altrimenti detta di Malmantile, passava attraverso del monte davanti a quel castello che diede argomento al giocoso poema del Lippi, e ritornava sull’Arno (ERRATA: a San Miniatello presso Montelupo) sulla strada postale a Montelupo.
Non già che prima di allora non fosse stata aperta una strada sull’andamento a un di presso dell’attuale R. postale pisana. Sì certo essa vi esisteva fino dal 1369, anno in cui la Signoria di Firenze conchiuse un trattato con il governo di Pisa, mercè cui fra i due popoli furono ristabilite le antiche franchigie delle respettive mercanzie; sicchè essendo stato riaperto ai legni e alle merci dei Fiorentini il Porto pisano, i senatori (dice l’Ammirato) per comodità de’mercanti dettero ordine di far la strada che passa per Golfolina lungo Arno, acciocchè i carri vi andassero comodamente. – Ma o gli ordini non furono eseguiti con troppa precisione, o con l’andare del tempo la strada della Golfolina tornò ad essere impraticabile dai carri più di quella selciata del Malmantile, siccome tale fu riscontrata dal prelodato Targioni Tozzetti nel 1742, quando disse: “La strada per la quale io passai dalla Lastra a Montelupo è sufficientemente larga comoda e piana; solo intorno alle Latomie della Golfolina è alquanto dirupata e impraticabile ai carriaggi; ma con poca spesa si
potrebbe ridurre usabile, e allora si farebbe assai meno scoscesa ed aspra dell’altra”. – Vedere VIA R. POSTALE PISANA.
E’ stata quindi la natura o le leggende hanno un minimo di verità?
Il lago che ricopriva interamente le attuali città di Firenze – Prato – Pistoia è nato circa un milione di anni fa. Gli emissari erano diversi dagli attuali, mentre l’unico punto ove il fiume si svuotava (estuario) era la Stretta della Gonfolina nei pressi di Signa, alta all’incirca 50 metri. L’acqua nei periodi estivi stagnava, mentre nei periodi invernali e piovosi fuoriusciva dalla stretta riversandosi
nel vicinissimo mare allora esistente nei pressi dell’attuale Empoli.
In merito a ciò diceva Leonardo da Vinci, assiduo frequentatore ed osservatore del Masso della Gonfolina: ”La Gonfolina, sasso per antico vinto col monte Albano in forma d’altissimo argine, il quale tenea ringorgato tal fiume in modo che, prima che versassi nel mare, il quale era a dopo a piedi di tal sasso, componea due grandi laghi, dei quali il primo è dove oggi si vede finire la città di Firenze insieme con Prato e Pistoia.”).
Circa 100.000 anni a.c. per tutta una serie di movimenti tettonici che fecero risalire l’attuale Firenze, ritirare il mare ed effettuare variazioni di tutto il territorio in questione si può pensare che si sia creata un’apertura nella diga naturale della Gonfolina, portando il livello del lago a quote molto più basse creando nel frattempo la nascita dell’immissario fiume Arno e aprendo la strada del suo percorso dalla Gonfolina fino a Pisa.
Ma continuava comunque ad essere un lago stagnante ove qua e là spuntavano colline come Artimino e Signa.
Gli etruschi circa 1000 a.c., popolo che costruiva le proprie città al di sopra delle acque dei fiumi, costruirono la città di Artimino e di Fiesole. Strategicamente parlando ipotizzo che costruirono anche la città di Signa punto di osservazione di tutta la piana fiorentina, dove l’occhio umano vedeva limpidamente quelle che ora sono le città di Firenze, Prato e Pistoia . Si racconta che fra la città di Signa e quella di Fiesole avvenivano segnalazioni tramite i raggi del sole che colpivano uno specchio.
E qui si introduce la prima leggenda di Ercole Egizio o Libio che, come detto sopra, con poco sforzo fece sì che la stretta della Gonfolina fosse ripulita dai grandi massi che ostruivano il regolare deflusso delle acque abbassando ulteriormente il livello del lago, anche se continuavano a rimanere paludi e piccoli laghi, come a Signa, praticamente un’isola.
Ma può anche essere che a dare un’ulteriore mano al deflusso delle acque fosse stato Ercole, quelle delle dodici fatiche; il nome può essersi confuso con il primo attraverso le leggende.
Del resto cosa sono le leggende: le leggende popolari non sono mai inventate da una sola persona, ma alla loro invenzione concorrono sempre più persone che, con il trascorrere del tempo, trasformano un fatto vero in un fatto sempre più leggendario.
Le leggende non raccontano mai dei fatti puramente inventati ma contengono sempre una parte di verità che viene trasformata in fantasia perché gli uomini vogliono scoprire sempre la causa di certi fatti che non conoscono bene e pertanto cercano di spiegarli con l'immaginazione.
Ed arriviamo all’ultima leggenda, quella di Annibale. Anche questa può avere un fondo di verità come le altre, ma mi preme sottolineare come lo spostamento di questi massi, piccoli e grandi non sono frutto di piccoli sforzi, ma c’è tutto il lavoro dell’uomo se pur fatto in epoche diverse e con attrezzature differenti.
L’unica cosa certa e che si può toccare con mano e vedere con gli occhi è che il Masso della Gonfolina è ancora lì da milioni di anni, ancora non considerato, come si dovrebbe, Monumento Naturale fra i più antichi nel mondo e come diceva Giambullari “facendo la rottura della Gonfolina: e alla città di Firenze desse principio...”