L’inchiesta Scopoli. Un importante elemento di confronto per la conoscenza della trasformazione nell’abbigliamento popolare lombardo nell’Ottocento sono i materiali dell’inchiesta avviata nel 1811 dall’allora Direttore generale della Pubblica Istruzione, Giovanni Scopoli. Rispetto all’iconografia sull’abbigliamento popolare in area lombarda precedente, la documentazione dell’inchiesta del 1811 ha il vantaggio di derivare da una specifica inchiesta diretta e da un interesse già per molti aspetti etnografico, seppur legato al nuovo gusto per le “curiosità popolari” diffusosi, anche in Italia, fra le classi alte sul finire del Settecento. La circolare-questionario del 17 aprile 1811 chiedeva informazioni e figurini colorati (ai professori di disegno dei licei) sulle “fogge che si usano ancora dagli abitanti delle campagne di codesto Dipartimento e che possano dirsi particolari a dati paesi, sì per uomo che per donna”. I quesiti proposti erano sei: 1. se le tele o mezzilani od altro sono fabbricati dai paesani o no; 2. se portano scarpe o zoccoli di legno; 3. se negli ornamenti festivi delle donne entri seta; 4. se gli uomini lavorino o no nelle loro case, e cosa lavorino allorché non sono possibili i travagli campestri; 5. quale sia la forma dei vestiti ed il colore più comunemente in uso; 6. se tanto gli uomini che le donne abbiano ornamenti d’oro o d’argento e quali. Agli specifici quesiti risposero solo il Dipartimento dell’Olona (Milano) con “Filza di sei acquerelli su carta cilestrina (170 x 242) del bleniese Domenico Aspari, <> di Brera, noto per una suggestiva serie di incisioni sugli aspetti più caratteristici di Milano”. Le sei tavole comprendono la Contadina di Fugino (Figino); il Paesano dei contorni di Monza; il Contadino della Brianza; la Villana di Busto Piccolo; il paesano di Ab(b)iategrasso; la giovane contadina di Barlassina. Il professor Aspari accompagna i sei acquerelli con uno scritto rivolto “Al Sig. Consigliere di Stato Direttore Generale della Pubblica Istruzione” e riportante: <>; il Dipartimento del Lario (Como) con “Origine e descrizione di un abito stranissimo cui vestono tutti indifferentemente sì poveri che ricchi gli abitanti di alcuni paesi del lago”. Benché nella relazione manchino, purtroppo, le risultanze iconografiche sul costume popolare, con nota a margine, il compilatore del questionario evidenzia i paesi di Garzeno, Germasino, Stazzona, Brenzio, Traverso, Livo, Dosso di Livo e Peglio come i luoghi di diffusione di quest’abito: è il vestito della moncecca, portato dagli anziani, con aggiustamenti e modernizzazioni, sino ai nostri giorni. Consiste, quest’abito << in una tunica di panno di color di castagna colle maniche di scarlatto o d’altro colore vistoso, tagliata dinanzi sul seno, ornata nei lembi d’una striscia di scarlatto, ed annodata sui fianchi con un cintolo di pelle. Di dietro sotto al collo esce in cima alla tunica una pezzuola di lino bianco detta il collare, ed hanno davanti un piccolo grembiale della così detta indiana ricamato nei lembi a giallo od a rosso. Coprono la testa, entrando nelle chiese, di un pezzo di lino a guisa di velo. Annodano i capelli di dietro, quindi divisi in due trecce li avvolgono intorno al capo a mo’ di corona. Il vestire dei poveri e dei ricchi in altro non differisce, se non che nella finezza del panno, nell’allacciare il grembiale con un ricco nastro, nell’ornare il collare con fini merletti e nel fornire il cintolo d’una fibbia assai grande d’argento od anche d’oro. Gli uomini portavano calzoni corti, e marsina del medesimo panno color di castagna, una giubba di scarlatto, o di panno bianco, le calze bianche, od azzurre ed in capo una berretta di lana rossa, od il cappello >>. L’informatore scrive che l’abito risale a un voto delle popolazioni per scampare il pericolo della pesta e dice: <>. Annota anche che <>; il Dipartimento del Mincio (Mantova) con quattro disegni colorati all’acquerello (163 x 264) e due disegni a matita (80 x 150), dovuti al prof. Felice Campi del liceo di Mantova, già noto per la sua attività di pittore neoclassico. I disegni, privi di didascalia, raffigurano il Contadino in abito festivo; la Contadina in abito festivo e particolare del fazzoletto sul capo; il Contadino in abito da lavoro; la Contadina che si reca al mercato; il Contadino della riviera del Mincio; la Contadina della riviera del Mincio. Lo scritto accompagnatorio recita: <>. Le risposte furono non sempre sollecite e variamente complete e la caduta del governo napoleonico impedì che le inchieste fossero portate a termine. Gli acquerelli coi costumi andarono dispersi, per finire nella collezione di Luigi Ratti di Milano, poi ancora dispersi in un’asta del 1916. Si trovano ora conservati presso la “Civica Raccolta delle Stampe” del Comune di Milano, intitolata ad Achille Bertarelli; ne curò l’edizione del 1958 Giorgio Nicodemi. Manca, comunque, l’inchiesta sui costumi per il Dipartimento dell’Adda (Sondrio), il Dipartimento del Serio (Bergamo), il Dipartimento del Mella (Brescia), il Dipartimento dell’Alto Po (Cremona). Sono rintracciabili nella serie di figurini del 1811 quegli elementi la cui persistenza o il cui abbandono finiranno per caratterizzare l’abbigliamento popolare in Lombardia fra Ottocento e Novecento: la presenza di colori ancora vivaci e del bianco; di copricapi come i fazzoletti da testa e di copricapi vari sia nell’abbigliamento maschile che femminile; di fazzoletti da spalla; di grembiuli; di acconciature femminili caratterizzate dalla presenza di spilloni (Olona/Giovane contadina di Barlassina; Mincio/Contadina in abito festivo; Mincio/Contadina che si reca al mercato); di nastri colorati allacciati in varie parti del corpo – dalla chiusura del busto nell’abbigliamento femminile all’allacciatura dei pantaloni per l’abbigliamento maschile; di ampie sottane; di zoccoli nell’abbigliamento femminile, di pochi o nessun gioiello. Tutti tratti dell’abbigliamento tradizionale ancora vivo nella memoria collettiva e durato – a tratti - fino agli anni Cinquanta del Novecento e oltre, nella foggia del vestire delle persone anziane se si eccettua il fatto che si è assistito a un generale scurirsi dei toni, fino al nero, di grembiuli, scialli e fazzoletti da testa e dalla presenza ormai incondizionata di tessuti - col tempo - sempre più acquistati e sintetizzabile, per l’abbigliamento femminile, con mutande sotto il ginocchio, maglia di flanella o di lana, camicia, corpetto, scialle con o senza frange, fazzoletto da testa, ampia sottana, grembiule, capelli raccolti sulla testa. Per l’abbigliamento maschile con mutandoni e maglia in lana o flanella, camicia, pantaloni lunghi, gilè a maniche corte o lunghe, giacca, tabarro, cappello. Sia per gli uomini sia per le donne calze in lana naturale, calzature in legno, cuoio o stoffa trapuntata, raramente scarpe.
Tratti comuni e trasformazioni dell’abbigliamento popolare lombardo tra l’Ottocento e il Novecento del XX secolo
Scritto da Giulia Caminada
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