Sa Itria - tra culti pagani e cristiani

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Nell’altopiano di Lidana, in territorio di Gavoi, confinante con Fonni, Mamoiada e Orgosolo sorge il Santuario Mariano della Madonna d’Itria.

Come tutti i santuari cristiani campestri in Sardegna, anche questo sorge in un’area dedicata, un tempo, ai culti sacri della civiltà nuragica, sino a che, appunto, il culto della croce sostituì quello delle pietre e delle acque.

L’attuale chiesa venne costruita dalla popolazione di Gavoi ormai nel lontano 1903, sostituendo una piccola chiesetta della quale restano come testimonianze una campana, datata 1543, una statua lignea e parte delle mura perimetrali.

Dell’antica costruzione si racconta di un piccolo edificio coperto d’edera, in granito non squadrato e fango, circondata da muristenes, le dimore dei novenanti, piccole casette a un piano, con una o due stanze, il tetto in canne, legno e tegole crude fabbricate come da tradizione a Lodine, un paese a pochi chilometri di distanza dal santuario.

In origine la festa dedicata alla Madonna dei Pastori cadeva tra il 19 e il 21 Giugno, coincidendo con il solstizio d’estate. In tempi più o meno recenti venne spostata all’ultima domenica di Luglio

«L’hanno spostata per i pastori: al tempo si mungeva ancora, erano impegnati e non potevano rientrare. I pastori regalavano formaggio fresco, latte a sas nobinantes (le novenanti).  Sas nobinantes invitavano sempre nei muristenes a prendere il caffè, a pranzo, e noi davamo i regali: zucchero, caffè, come si fa sempre…»

 Sono tante le peculiarità di questa festa: si tratta infatti di una celebrazione per la quale, per 10 giorni, i gavoesi “abbandonano” la vita di paese per quella all’aria aperta, dove la fanno da padrona la convivialità, i balli..

«Onzia notte ahiana sos ballos da sa prima die de sa nobina [“ogni notte facevano i balli dal primo giorno della novena"]Non c’era altro, c’era solo quello. La sera i pastori, dopo che avevano finito la loro giornata di lavoro, andavano lì e si divertivano. Poi c’era una tradizione: chi faceva sa nobina invitava tutti i pellegrini a prendere il caffè, la colazione. E guai se non andavano! Si offendevano. Poi i pastori che c’erano lì vicino offrivano il latte gratis a tutti i novenanti.»

..la fede e anche un po’ il fascino dei culti antichi, dei quali continuano a resistere nel tempo importanti tracce.

Attorno al santuario, infatti, sono presenti nuraghi, resti di antichi villaggi e domus de janas – tombe scavate nel granito talmente piccole che nella credenza popolare erano considerate dimore delle fate. Ma è all’interno del grande giardino che si può riscontrare il perfetto esempio di sincretismo religioso: a pochi metri dalla grande chiesa, infatti, sorge un menhir, sa perda fitta, sa perda de sa Itria, segno del culto megalitico, di simbologia fallica, alto e possente. Sembra quasi che stia lì fermo a guardare come la devozione si sia trasformata nel tempo…e appare pure un po’ sornione, quasi a pensare che nonostante tutto, lui sta ancora lì, simbolo di quel credo pagano quasi dimenticato e simbolo di Sa Itria.

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E poi c’è il palio, su palu de sa Itria, appuntamento importante per tutti gli amanti delle feste equestri, nato come occasione per mettere alla prova la propria abilità a cavallo.  In origine era il palio dei pastori gavoesi, ora avvenimento in cui si sfidano i grandi fantini dell’isola.

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«Quand’ero piccolo i ragazzini correvano con gli asinelli fino ad un’età di 15 o 16 anni, poi si cominciava a correre col cavallo. [alla corsa dei cavalli]si poteva partecipare dai 16 anni in su. Era una corsa per divertimento. Il cavallo si prendeva dalla campagna, non c’erano cavalli da corsa! Si prendeva dalla campagna e si correva alla festa. Chi aveva un cavallo un po’ “grintoso” partecipava.  non c’erano regole perché non c’era pista, non c’era strada… si correva nei viottoli di campagna. [I partecipanti] erano Solo di Gavoi, pastori della zona più che altro. Non veniva nessuno da fuori. [...]Il palio era una manifestazione molto sentita, non c’era altro divertimento. Poi però piano piano ha cambiato un po’, quando sono cominciati ad arrivare i mezzi [di trasporto]  la festa un po’ si è trasformata, arrivava più gente. Prima la festa la facevano solo i novenanti. »

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«Ognuno aveva uno, due, tre cavalli e nella festa di Sa Itria si sfidavano nelle corse, erano bene domati e sfruttati tutti i giorni […]e poi, per soddisfare la gente che affluiva numerosissima (forse non c’era altro Palio nel centro Sardegna dove arrivava così tanta gente), una sorta di rivincita chiamata Sa Mesu Harrela. Praticamente i cavalieri che avevano partecipato al Palio, dopo una mezzora o un’ora, dopo aver fatto riposare i cavalli, si faceva un'altra corsa, solo che si partiva da metà percorso e per questo motivo aveva questo nome.»

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Il fascino e l’importanza di questo pezzo di festa permane tutt’ora, nonostante nel tempo  siano cambiate alcune cose, fra cui le specifiche regole da seguire e la pista circolare, che ha sostituito quella lineare che tanto caratterizzava su palu de Gavoi.

La fine della festa  è segnata dal rientro, sa ghirada, che nasce come naturale momento in cui tutti i novenanti “ritraslocavano” in paese. Vecchie immagini ci raccontano di carri, poi sostituiti dai camion, colmi di stoviglie, sedie, materassi e tutto ciò che era utile alla permanenza nel santuario. Oggi sa ghirada ha acquisito le caratteristiche di rito: decine di giovani cavalieri, che indossano rigorose camice bianche e pantaloni di velluto nero, attraversano fieri sul proprio cavallo il camino di ritorno al paese, dove vengono accolti da una folla in trepidazione, perché, anche se molti lo negano, il rientro suscita sempre un po’ di emozione.

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«[…]Era una gran festa il “Rientro”. Quando dalla Torre si vedevano i cavalieri spuntare da Parentele, si suonavano le campane e la gente affluiva a Sa Serra, si guardava la gente rientrare e si facevano i balli nella piazza all’ingresso del paese»

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«La popolazione aspettava i cavalieri e quando li vedevano scendere da Pisanu Mele o da Puddis, sparavano. All’ingresso del paese, nella grande piazza, si aspettavano i cavalieri e le dame, chi era fidanzato portava la ragazza a groppera e rientravano i novenanti con le loro bisacce. Si faceva festa e si facevano i balli quando rientravano tutti i cavalieri.»

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Anche in questo caso il tempo ha apportato le sue modifiche. E se ci si reca in piazza, poco prima della partenza, si può assistere a un momento che continua a (r)esistere un momento, tramandandosi di  cavaliere in cavaliere, dalla notte dei tempi. Nessuno conosce la sua origine o il motivo per cui esista. Succede, infatti,  che prima di partire ogni fantino, in groppa al proprio destriero, compia 3 giri di buon augurio attorno a una pietra, chiamata sa pranedda. Anche questa si trova all’interno del santuario, come il menhir, e se la si guarda bene la sua forma pare ricordare quella del sesso femminile, richiamando alla dea madre e al culto della terra e completando, con il menhir, il cerchio della fertilità.

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«Prima di partire dal Santuario, in Sa Pranedda, una pietra che prima era chiamata sa perda trappeddaiola e durante tutti i festeggiamenti, le vecchie del paese parlavano di tutti i mali e le cose belle del paese stesso, li era possibile raccontare tutto, tutte le cose positive e negative e i cavalieri, prima di rientrare a Gavoi, fanno tre giri intorno a questa pietra, come segno di buon auspicio. Tre o sette giri si fanno anche a Sedilo. Solo che, negli altri paesi, i giri li fanno intorno alla Chiesa, e noi invece intorno alla pietra. Questa tradizione c’è sempre stata. Quindi c’è ancora il pagano che prevale sul sacro. Un prete, qualche anno fa, ha fatto delle innovazioni: ha creato la stendardo della Santa e ha fatto del rientro dal Santuario al paese una sorta di processione sacra. Inoltre, ha cercato di imporre i giri dispari intorno alla Chiesa anziché intorno alla pietra, ma dopo tre anni che ci ha provato e nessuno lo seguiva, ha iniziato anche lui a girare intorno alla pietra. La tradizione per fortuna si è salvata e se prima aveva dei significati, ora non li conosciamo più. Nessun cavaliere si permette di rientrare in paese senza fare questi giri scaramantici.»

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Ecco, Sa Itria e questo e molto di più. Ormai mancano 20 giorni per vivere i suoi riti, respirare i suoi profumi d’estate e di fieno appena mietiuto, gustarla nei suoi sapori e tuffarsi nei suoi colori. E siamo prontissimi. Voi? 

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Parte dei testi e le interviste sono tratte da "Giostre equestri, palii e corse a cavalloin alcune feste della Sardegna" - Tesi di laurea di Veronica Podda

Le immagini sono di Francesca Podda, Fabio Manca e Silvana Zedda

Per ulteriori info www.saitria.it 

 

Posizione

08020 Gavoi NU, Italia

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