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7 Novembre 2013

TULLIO DE MAURO a Torino

 

per presentare il Fondo Tullio De Mauro e l'Archivio Partecipato

della Rete Italiana di Cultura Popolare

 

All’interno di “UGUALI E DIVERSI? 2 giorni, 2 storie, 2 incontri”

 

Ore 11, Salone d’Onore Fondazione CRT

Via XX Settembre 31, Torino

 

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Si è tenuto giovedì 7 novembre alle ore 11, presso il Salone d’Onore della Fondazione CRT, il secondo appuntamento di “Uguali e diversi? 2 giorni, 2 storie, 2 incontri”: protagonista Tullio De Mauro, linguista di fama internazionale, già ex Ministro dell’Istruzione, che illustrerà le motivazioni della donazione di parte del suo prezioso Fondo Bibliotecario personale alla Rete Italiana di Cultura Popolare.

Nel corso dell’incontro è stato presentatol’Archivio Partecipato della Rete Italiana di Cultura Popolare, arricchito dall’importante contributo di De Mauro e sviluppato, anche nella sua versione web, grazie alla  Fondazione CRT, che sostiene da oltre dieci anni l’attività della Rete Italiana di Cultura Popolare, che ha finanziato lo strumento per la digitalizzazione dei documenti e messo a disposizione due borse di studio, grazie alle quali la Rete sta provvedendo a catalogare i materiali e a digitalizzarne i più interessanti. Inoltre, sempre nell’ambito delle attività promosse dalla Fondazione CRT, i Cantieri OGR lavoreranno, in collaborazione con la Rete, alla valorizzazione dell’archivio.

L’archivio sarà on-line sul portale della Rete (www.reteitalianaculturapopolare.org) a partire dal 13 dicembre 2013, in concomitanza con la settimana “Giornata Nazionale della Rete Italiana di Cultura Popolare.

Il primo degli incontri si è tenuto ai Cantieri OGR il 7 ottobre ed è stato con Vinicio Capossela, che ha illustrato il suo rapporto con la tradizione, raccontando che cosa significhi per lui conservarla, innovarla o tradirla e quale sia la sua relazione con i maestri della musica tradizionale. ( Clicca qui per ascoltare il podcast integrale dell'incontro con Vinicio Capossela, trasmesso in diretta su tradiradio.org )
 
 

Che cos’è l’ Archivio Partecipato della Rete Italiana di Cultura Popolare? In cosa consiste il Fondo Tullio De Mauro?

 

Conversazione con Tullio De Mauro

Professor De Mauro, l’Italia ha un triste primato legato all’analfabetismo della popolazione adulta (secondo dati OCSE). Che ruolo può avere la cultura popolare sull’”incultura”?

È vero, rovesciando la graduatoria dei paesi studiati dalla più recente indagine comparativa internazionale siamo al primo posto per capacità di lettura e comprensione di testi e al penultimo per capacità matematiche. Per queste siamo scavalcati (in basso) dalla Spagna. Bisogna però ricordare che di questo primato alla rovescia avevano già dato notizia due precedenti indagini internazionali promosse nel 1999 e nel 2005 da Statistics Canada. Anche in quelle, rese pubbliche nel 2001 e nel 2006, occupavamo l’ultimo posto, nella prima, il penultimo nella seconda, in cui l’ultimo posto era toccato alla Sierra Leone. Ricordo queste precedenti indagini perché l’OCSE si è rifatta, perfezionandole, a esse, ma anche perché la pubblicazione di quei risultati  cadde nel vuoto di attenzioni e reazioni dell’informazione giornalistica e dei gruppi dirigenti. Questa volta la cosa pare diversa. Un po’ la maggiore notorietà dell’OCSE, rispetto alla pur serissima e attiva Statistics Canada, un po’ il più alto numero di paesi coinvolti, un po’, infine, il morso di una crisi che spinge a qualche riflessione sul nostro mondo d’oggi, hanno prodotto una ben maggiore attenzione nella stampa internazionale e anche italiana e nelle nostre autorità di governo. In pochi giorni ben tre ministri dell’attuale governo si sono mossi (due perfino coordinati tra loro: quasi un miracolo) annunziando piani e propositi, traducendoli in decreti per elaborare a tempi stretti proposte per cominciare a correggere i nostri deficit di lettura e competenze. Mi pare giusto sottolineare la novità della reazione rispetto ai silenzi tombali di anni passati. Ovviamente bisognerà vedere se e come dalle parole e decretazioni si passerà a piani concreti e, soprattutto, alla loro realizzazione. Che è certo complessa: e vengo con ciò al centro della vostra domanda. Ogni intervento serio si scontrerà contro la realtà di un paese scisso in strati che non comunicano tra loro e con gruppi dirigenti che non amano guardare in faccia questo paese per capire come è davvero fatto. Un po’ alla buona diciamo che è un gran pentolone in cui ribolle di tutto: le incompetenze certificate dall’OCSE; cedimenti pericolosi alla ciarlataneria (una recente indagine ci ha parlato di milioni di persone che ogni anno si rivolgono a ciarlatani di vario tipo sperando di uscire dai loro guai e spendendo milioni e milioni di euro); ma anche non riconosciute capacità di adattamento, di sopravvivenza e voglia di vivere, e amore non spento per il luogo natale e per le sue tradizioni. Se chi vive le forme popolari della cultura e le ama non si sente più ignorato, non crede più di essere un residuo isolato, se scopre di essere il nodo di una rete di nuclei vitali di persistenza e resistenza, questo può avere un effetto vivificante su tutta la cultura. La cultura, spiegava già Carlo Cattaneo, è un poliedro: diamo a ogni sua faccia riconoscimento, rendiamole consapevoli le une delle altre. Un valoroso imprenditore, Luciano Mauri, usava un’altra immagine, che io gli ho ripetutamente rubato: dobbiamo pensare alla cultura di un paese come a un ecosistema. Un bosco non è fatto solo di alti alberi di pregio, non vive se non ci sono anche alberelli, arbusti, licheni, se non vive anche un sottobosco prezioso per creare humus senza cui gli alti alberi non si radicano e non vivono.
 
La Fondazione CRT, soggetto no profit dalle finalità sociali, ha nella sua storia sostenuto il sistema dell’istruzione tramite erogazioni agli atenei, contributi a enti di ricerca, bandi e progetti volti a sostenere il talento e a potenziare le capacità dei giovani. Quale futuro spetta, a suo avviso, a questi soggetti nel supporto alla cultura e all’istruzione?
Credo che sia decisivo. Nell’istruzione e nella ricerca molta parte, forse tutta la parte più attiva di chi opera per tenere in vita e sperimentare buone pratiche si regge in larga misura sull’impegno volontario. Di nuovo lo stesso problema: chi opera così spesso si sente ed è lasciato solo. Bisogna anche qui creare reti e l’intervento di sostegno, l’oculato intervento di sostegno di risorse private  ha un ruolo fondamentale.
 
I flussi migratori, al centro peraltro di drammatiche vicende, sempre più ci pongono di fronte al presente del multiculturalismo. Come interfacciarsi con lingue e tradizioni popolari differenti?
Una scuola che sappia educare al rispetto e alla comprensione delle diversità non si trova disarmata dinanzi a diversità accentuatamente lontane dall’esperienza più immediata. Voglio dire che una scuola in grado di favorire la comprensione e il rispetto per l’intreccio di tradizioni diverse, linguistiche, culturali, intellettuali, presenti nella realtà italiana non resta impotente dinanzi al compito di intendere culture e lingue di mondi lontani e di predisporsi sia ad accogliere chi ne è portatore tra noi sia a quei compiti che Gustavo Zagrebelski ha felicemente chiamato compiti di interazione  (sopprimendo la g del ternine integrazione che si usa più comunemente).
 
Internet ha portato l’uso di un linguaggio tecnologico pieno di inglesismi: dobbiamo fare come i francesi e difendere la lingua italiana o è un processo inevitabile e anzi auspicabile?
Questione cui non è facile rispondere brevemente. Bisogna ricordare anzitutto che il contatto e lo scambio tra lingue diverse sono fenomeni che, per quanto ne sappiamo, sono antichi quanto le lingue, sono un fattore non unico, ma antico e permanente del loro fisiologico rinnovamento. Nel caso dell’italiano moderno e degli anglismi va anche detto che l’immissione di parole inglesi è ben più antica di internet e tuttora ha fonti e ragioni diverse. Ci sono parole radicate in buone ragioni. Nell’Ottocento abbiamo imparato dagli inglesi un certo gioco e in italiano e altre lingue lo abbiamo chiamato come loro: tennis. Dovremmo sradicare il gioco per eliminare la parola. Per eliminare la parola bar dovremmo riaprire le vecchie osterie e i trani, riaprire gli antichi  e accoglienti caffè che solo qua e là (a Torino, Trieste, Napoli…) ancora resistono e, invece, chiudere i locali dove in piedi al volo si sorbisce un caffè o un aperitivo. Queste parole ben radicate di solito entrano nel gioco della formazione usuale di parole comuni: tennistico, barista e così filmare, filmato e filmico, jazzistico e in questo modo, come suggerì  Bruno Migliorini, grande storico della lingua, in questo modo facilmente possiamo riconoscerle e assumerle come parole ormai nativizzate. Una buona radice hanno anche quelle parole legate a oggetti, cose, attività tipiche del mondo che parla inglese: pub  o whisky o plum-cake o cowboy.  Vengono infine parole che nei casi migliori rispondono solo a snobismi e ostentazioni. Per qual necessità mai la Confindustria prima, poi la RAI hanno chiamato education il loro settore educativo? Perché nel Parlamento italiano le sedute dedicate alle interrogazioni urgenti si chiamano question time? Perché su cartoncini e programmi la pausa caffè si chiama coffee break? In qualche caso c’è il sospetto che l’inglese abbia la funzione del latino del manzoniano Azzeccagarbugli: dire senza dire e imporre però rispetto. Molti chinano il capo rispettosi se il ministro del tesoro  dice che sta provvedendo alla spending  review. Si porrebbero invece qualche domanda se il ministro dicesse, in buon italiano, che sta provvedendo a ridurre gli investimenti per sanità, istruzione e altri servizi pubblici.
 
Come ha conosciuto la Rete Italiana di Cultura Popolare e come ha maturato l'idea di questa donazione?
Il dottor Antonio Damasco alcuni anni fa era venuto gentilmente a trovarmi per parlarmi della Rete. Aveva letto, credo, qualche mio lavoro come La cultura degli italiani, pubblicato da Laterza nel 2005, e supponeva  che l’iniziativa della rete potesse interessarmi. Discutendo con lui sulle opportunità offerte dalla rete ha cominciato a prendere corpo un mio antico proposito: creare un luogo unitario di raccolta delle testimonianze letterarie dei dialetti italiani. Regione per regione, città per città, si trovano conservati preziosi documenti delle realtà locali, ma non quelli di altre regioni,  tranne ovviamente le grandi e poche eccezioni di Porta,  Belli, Di Giacomo o Meli. Negli anni, come parte delle mie attività di studio (e contando sulla pazienza e comprensione dei miei familiari) mi è accaduto di raccogliere centinaia e centinaia, infine migliaia di scritti e opere nei diversi dialetti italiani, dal nord al sud del paese. Mi è parsa una buona idea dare questo materiale alla Rete perché nel suo complesso  sia messo a disposizione di tutti.
 
Il Fondo da lei donato ha fatto da "padrino" attivando la nascita dell'Archivio partecipato che sarà implementato attraverso il mondo delle scuole, quali sono le sue aspettative?
Penso che le scuole e gli studiosi ed eruditi locali, spesso isolati e mal noti, possano avere un grande ruolo nel creare questa grande biblioteca comune dei dialetti italiani e, aggiungo, delle lingue di minoranza.
 
Quali possono essere i destinatari del Patrimonio "Fondo De Mauro"?
Le scuole, anzitutto, quelle scuole cui ho già accennato in cui è pratica quotidiana educare al rispetto, alla comprensione e allo studio delle diversità linguistiche e culturali di cui il nostro paese è nativamente ricco; e poi gli studiosi e tutti gli interessati alla vita dei nostri dialetti.
 
Torino è una Città che sta investendo da tempo sulla Cultura, che rapporto ha con la nostra Città?
Come tanti, sono spesso presente al Salone del libro, un’iniziativa importante in un paese che soffre di scarsa abitudine alla lettura. A questo, dalla fine degli anni ottanta, dal 1989, si è aggiunto un legame assai più specifico. Gianni Merlini (che ricordo con molto affetto e nostalgia) e Tancredi Paravia furono informati di un mio progetto che poteva apparire di difficile realizzazione: un grande dizionario dell’uso dell’italiano contemporaneo con caratteristiche di completezza e oggettività della documentazione assenti nei dizionari in circolazione. Lo presero in considerazione e, con molto coraggio, decisero di investire nella realizzazione del progetto, che prevedeva una direzione scientifica a Roma, nuclei di collaboratori a Salerno, Londra e Genova, e gran parte della redazione a Torino. Avevo fatto un piano di fattibilità credo di poter ora dire molto scrupoloso e dettagliato che prevedeva la conclusione del lavoro in dieci anni.  Così è stato: i sei volumi del Grande dizionario italiano dell’uso sono apparsi nell’autunno del 1999. Questo ha comportato per me frequenti viaggi a Torino, anche per rassicurare gli editori, ma soprattutto per discutere con i redattori.  Il lavoro è poi continuato perché, esauritasi la prima edizione, è stata preparata una seconda edizione più ampia e aggiornata in otto volumi apparsa anni fa. Il lavoro di digitalizzazione e messa in rete dei materiali del Fondo penso che rinnoverà per me il grato obbligo di venire spesso “sotto la Mole”.
 

Biografia

Tullio De Mauro, nato nel 1932 a Torre Annunziata (Napoli), è  un linguista di fama internazionale, insignito di significative onorificenze da parte della Repubblica Italiana. Accademico della Crusca e socio dei Lincei, professore emerito della Sapienza di Roma, è stato nominato doctor honoris causa dall'università Waseda di Tokyo e da  diverse università europee.
Allievo di Antonino Pagliaro, ha insegnato in diverse università italiane (Napoli "L'Orientale", Palermo, Chieti, Salerno) e alla Sapienza di Roma come professore incaricato (1961-67), poi ordinario (dal 1974) tenendo corsi di  Linguistica generale e Filosofia del linguaggio. Ha diretto il Dipartimento di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Lettere  e successivamente il Dipartimento di Studi Filologici Linguistici e Letterari nella Facoltà di Scienze Umanistiche dell'Università la Sapienza di Roma che ha contribuito a fondare, insieme ad Alberto Asor Rosa.
Ha tradotto e commentato il Corso di linguistica generale (Cours de linguistique générale) di Ferdinand de Saussure. Ha pubblicato per la UTET il Grande dizionario italiano dell'uso (2a ed., 8 vol., Torino 2007). Ha presieduto la Società di Linguistica Italiana (1969-73) e la Società di Filosofia del Linguaggio (1995-97). Dal 25 aprile 2000 al 11 giugno 2001 è, dopo Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica Istruzione nel secondo Governo Amato. Dal 2007 presiede il comitato direttivo del Premio Strega.
Ha collaborato a giornali e settimanali e collabora  ora  regolarmente al settimanale Internazionale con le rubriche “La parola”, dal 2006, e “Scuole”, dal 2008.

 

 

 

 

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