Dall’inviata della Rete Italiana, la giornalista Sabrina Iadarola, editor e giornalista campana.
I RITI SETTENNALI DI GUARDIA SANFRAMONDI
Appartenenza e partecipazione corale
Dall’inviata della Rete Italiana, la giornalista Sabrina Iadarola, editor e giornalista campana:
Si chiude una lastra, si apre un nuovo settennio in attesa dei Riti Settennali 2024. Per un paese, Guardia Sanframondi. Per la sua comunità. Per i fedeli della Madonna Assunta. La chiusura della lastra nel Santuario dell’Assunta, avvenuta domenica 10 settembre, che custodisce gelosamente la statua della Madonna è il momento che segna formalmente la fine dei Riti Settennali e separa “fisicamente” la Mamma (dei guardiesi e non solo) dai loro figli. Che, dopo averla portata in processione lungo le strade della piccola cittadina medievale, la lasciano riposta, per i successivi sette anni, in quella nicchia, dalla quale troneggia con splendore e protegge chi le è devoto. Solo ogni sette anni o in caso di grandi sventure (epidemie, carestie, terremoti, siccità) il popolo può riportarla in processione.
Un evento unico, i Riti Settennali di Guardia Sandramondi, in provincia di Benevento. Fortemente identitario, in cui sacralità e ritualità si mescolano seguendo ritmi e con significati ben precisi, da tempi lontani che risalgono, secondo fonti documentaristiche, almeno al 1600. Una manifestazione popolare, di “appartenenza”, in cui tutti gli abitanti del paese sono coinvolti a vario titolo. I quattro rioni (Croce, Portella, Fontanella e Piazza), coordinati dai loro rispettivi comitati, si alternano per una settimana in processioni di comunione e penitenza. A partire dal primo lunedì successivo al 15 agosto fino alla domenica seguente. Mille flagellanti e battenti sfilano percuotendosi la schiena con la disciplina o facendo sanguinare il proprio petto con una spugna di spilli. A precederli sono i Misteri, ovvero episodi tratti da testi biblici, agiografia cristiana e storia della Chiesa, con una precisa funzione “educativa”,talvolta attualizzati, sceneggiati da figuranti di ogni età, che cuciono sui propri corpi e sui propri volti espressioni e gesta di personaggi esemplari, da Santa Maria Goretti a San Luigi Gonzaga, da re Davide penitente a Sant’Agostino. Verginelle, angeli, pie donne in coro, precedute dal suono argentino dei sacri “bronzini” (i campanelli) che preannunciano il passaggio della Madonna per le strade e nelle piazze, in una folla osannante ai piedi di Maria, implorante il soccorso, più gremita man mano che il corteo, partito dal Santuario, vi fa ritorno dopo dieci, anche dodici ore di processione. Una festa per i guardiesi e dei guardiesi, ovunque si trovino, che sempre ritornano, ogni sette anni, anche dall’America o dall’Australia, per accompagnare in processione la propria Mamma. Senza fuochi d’artificio o bande musicali, espressione autentica e corale della fede comunitaria e della cultura popolare, ai Riti non mancano mai, nella nutrita platea che quest’anno ha contato centomila visitatori, interrogativi e critiche di cittadini, giornalisti, fotografi, antropologi, sociologi. Divisi tra curiosi, credenti, scettici, non credenti, tutti presi dal chiedersi se sia e quanto sia “opportuna” o “contemporanea” un’esternazione “pubblica” di fede così scenica, plateale seppur a volto coperto, come nel caso dei battenti e flagellanti, a tratti pagana. Tutti impegnati a cercare di capire quanto ci sia di fede o quanto sia solo tradizione, cultura popolare e senso di appartenenza. E chi può dirlo. Un qualsiasi fatto vissuto dall’uomo intimamente, profondamente, ha solo se stesso come testimone. Non altri. Quello che si percepisce osservando e vivendo i Riti è un’insolita armonia tra mondo esteriore e mondo interiore di ciascun partecipante alla processione, che diventa ancor più evidente nel volontario penitente e battente. Che non si lascia spazio al fanatismo, questo no, poiché, ad onor del vero, i battenti che si percuotono il petto a sangue coperti dal saio bianco e dal cappuccio, lo fanno pubblicamente ma in assoluto anonimato e nel riserbo più stretto. Condivisibile o meno, lo fanno in nome della Madonna Assunta. Con coraggio e fede, subito dopo quella voce che dal pulpito della Chiesa, mentre loro sono lì in ginocchio dinanzi alla Madonna che aspettano ansiosi e con il capo chino la “chiamata”, in un silenzio che parte dalla Chiesa e che invade l’intero piazzale del Santuario, lasciando sospesi aria e respiro in un silenzio disarmante a tratti inquietante: “in nome della Madonna Assunta, battetevi”. Una voce che squarcia l’aria, mentre le mani dei battenti cominciano ad agitare con forza, con veemenza, portando quella spugna una, due, infinite volte contro il petto. Ed è solo l’inizio di un cammino di penitenza che, in processione, dalla Chiesa si diffonde in tutte le strade del paese, per ore sotto il sole cocente di agosto, lavando i peccati di una comunità in religioso e rispettoso silenzio. Un itinerario di conversione che unisce santi, re, martiri, uomini e donne, bambini e anziani. A partire dalle anziane signore che cantano con voce squillante le litanie che, oltre al tesoro della Madonna di voti e ori, pure sono una tradizione popolare, da difendere e tramandare. “Ave Maria, ora pro nobis”, per sette anni. “Marija, faccèlla la Gràzja” chiedono i fedeli sereni nell’animo, affettuosi e cordiali nell’ospitare anche i forestieri, gli sconosciuti. Accoglienti ma fermi nei loro costumi perché i Riti sono una festa loro e solo dell’anima. E’ una cosa seria, come direbbe Elena quasi novantenne, guardiese che ora vive in Inghilterra, dall’alto del suo balconcino: “Pazzjate ku tùtte, ma lassàte stà a la Madonna de l’Assùnta (Scherzate con tutto ma lasciate stare la Madonna Assunta).