Gipo Farassino

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Gipo Farassino Foto Darwin Lega

Testimone della Cultura Popolare nel 2006 ®

Classe 1934, deceduto l'11 dicembre 2013, chansonnier e attore torinese, grande interprete di canzoni popolari e d’autore in dialetto locale, Gipo Farassino è un artista da sempre profondamente legato alla sua città, Torino.

Indubbiamente la forza evocativa di tante sue canzoni è legata proprio al dialetto, che sa utilizzare con spontaneità e bravura, con sensibilità e intelligenza, con un istinto innato di chansonnier dialettale, dipingendo in modo indimenticabile quartieri, negozi, personaggi della Torino popolare. Gipo canta in dialetto quando è necessario, senza esserne prigioniero; lo varia, lo modula, ne accentua il carattere popolaresco, addirittura gergale, oppure lo innalza a toni più alti, a seconda delle canzoni, sfruttandone tutte le risorse.

La sua ricerca di stili e di temi ha segnato dai primi anni ’60 un importante percorso musicale, con molti album pubblicati e un’interessante attività teatrale, con particolare attenzione verso il cabaret.

Gipo Farassino è stato premiato come Testimone della Cultura Popolare 2006 per la Provincia di Torino.

 

Gipo Farassino ha sempre avuto le idee chiare e non si è mai tirato indietro. Ha sempre cercato la sua possibilità, fino a diventare una delle figure più importanti della canzone d’autore italiana oltre che attore e drammaturgo della tradizione teatrale piemontese. «Il richiamo alla tradizione per me è sempre stato importante, anche quando ho vissuto a Milano, dedicandomi alla musica leggera. Sono molto grato a Milano per le opportunità che offre con un atteggiamento che consente di cogliere le occasioni al volo. Milano offre opportunità a chiunque sa fare qualcosa e così tra la massa possono emergere le personalità, anche il genio, perché no! Il male nero dei piemontesi sono la diffidenza e la chiusura tipiche di tutti noi, di una mentalità che, in fondo, è un po’ montanara.

Questa constatazione mi fa sempre venire in mente Le basi morali di una società arretrata (Il Mulino, 1976), un saggio di Banfield, un etno-antropologo americano che teorizzò, durante la ricostruzione del dopoguerra, la difficoltà di sostenere la ripresa delle aree disastrate della profonda campagna del nostro Meridione, afflitte da quello che definì “familismo amorale1”. Si tratta di un atteggiamento che comporta diffidenza verso l’estraneo, subito individuato come persona che mette a repentaglio il poco acquisito. In questo c’è anche una faccia positiva, se sviluppa solidarietà vera tra i vicini, all’interno delle comunità; ma la solidarietà deve comportare andata e ritorno e non può essere a senso unico. Per me, artista giramondo, passato da Cipro agli Stati Uniti a Tripoli eccetera, queste cose sono state fondamentali. Il valore delle radici ha sempre sollecitato la mia fierezza: mi sento un patriota piemontese. E ho sempre mantenuto vivo il senso di solidarietà legato alle mie origini proletarie, contadine che mi ancorano a un altro valore, il senso di giustizia. In ogni caso, permangono sempre i valori della pietà, della compassione… Sono caratteristiche della fascia sociale cui appartengo che è quella, piccolissima, della plebe, l’ultimo gradino della borghesia, il travet, che è diverso dall’operaio, dal rusco».

Ed è, in fondo, la figura che anima la sua poetica, i suoi personaggi di barriera, in un autoritratto declinato all’infinito, lo stesso che nel suo romanzo appartiene alla figura del matto.«Grazie del complimento» fa dire al protagonista Teo/Gipo. «Sì sono matto e mi dà un piacere immenso esserlo. Negli antichi arcani dei tarocchi, il matto è l’unica carta senza numero. Rappresenta libertà, genio e sregolatezza, ha il coraggio di abbandonarsi agli istinti, agli appetiti, alle passioni». E fa aggiungere all’evanescente ed enigmatico Baldo, suo alter ego: «Tu sei molto più di un comunicatore, Teo, e lo sai. Hai iniziato un viaggio in condizioni disastrose. Solo, senza riferimenti, senza mezzi economici, senza prospettive, senza esperienze culturali alle spalle, sei partito per le strade del mondo. Con rabbia e tenacia, condite da un pizzico d’ingenuità, hai iniziato a farti una cultura tua, empirica. E piano piano ci hai aggiunto dosi di razionalismo, intellettualismo, idealismo. Finché, al momento opportuno, hai scaricato tutto nelle cose che hai scritto e scrivi».

Tratto da Valter Giuliano, "Lingue, migrazioni, bellezza e magia. Incontri con i testimoni della cultura popolare 2", pubblicazione del progetto editoriale della Rete Italiana di Cultura Popolare.

 

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